mercoledì 24 agosto 2011

Il condominio Caldara

 E come promesso il terzo capitolo, buona lettura.



Il condominio Caldara deve il suo nome al proprio costruttore, tal Ingegner Anselmo Caldara, sostenitore del partito fascista. All’ Ingegner Caldara  si devono, nei tempi del regime, alcune opere monumentali come la statua del Monarca, che sorgeva sui resti di una vecchia fontana del Bernini, fatta brillare con quintali di tritolo  per far posto all’opera di ingegno futurista, colata interamente in un unico pezzo di bronzo: la statua, non la fontana; l’ospizio dei reduci di guerra, alla cui inaugurazione partecipò, come riportano le cronache del tempo, l’amico di un cugino acquisito del Duce. La struttura fu realizzata da un solo blocco di marmo di ventimila metri cubi, estratto dall’unica cava del posto, conosciuta  ai giorni nostri come “lì c’era una montagna. Ma dove?!? Lì” ; ed infine, quella che per decenni fu considerata opera di raffinato ingegno,  modello per i popoli a venire e testimonianza della magnificenza del regime Fascista: il cimitero Balordo, in cui l’intera famiglia Balordo, antica casata di scalpellini, si estinse per portare a termine la monumentale opera. Ora, tutte queste testimonianze, che più di una volta le cronache del tempo ci tennero a elogiare come capolavori, furono rasi al suolo a seguito dello sbarco degli alleati. La statua del monarca fu nuovamente sostituita dalla fontana del Bernini, i cui pezzi furono conservati gelosamente dal professore Ernesto Cavapietre che, la notte seguente lo scempio, caricò su un carretto trainato da una mula di nome Arifacce, uno per uno i frammenti dell’opera del grande artista. L’ospizio dei reduci di guerra, fu riposizionato nella sede originaria della cava e negli anni a seguire divenne fonte inesauribile di marmo, per soglie, pavimenti e cigli stradali. In fine, il grandioso cimitero Balordo  fu distrutto da un improvviso bombardamento da parte degli alleati, perché convinti che fosse divenuto centro nevralgico della difesa nazista; alcuni giurano che il vero motivo di quel bombardamento fu che dopo una notte di baldoria, i piloti americani in volo di ricognizione sul paese , furono così tanto inorriditi dalla struttura del cimitero che vollero liberare gli abitanti e la loro vista, da quell’imbarazzante esempio di stupideria.  L’unica testimonianza dello spirito avveneristico dell’ingegner Caldara, come avrete capito, è l’omonimo condominio. Di color cacarella la struttura di sette piani sorgeva nelle viscere della palude bonificata; in realtà di tutta la bonifica effettuata in tempo fascista, il lotto 224 del foglio catastale n° 23, fu tralasciato; forse per dimenticanza  o forse per mancanza di manodopera che abbandonò il badile per impugnare il moschetto, o perché, ripetevano fonti sicure,  gli ultimi spiccioli dell’erario dello stato destinato alla grande opera di rivalutazione del territorio furono destinati alla costruzione dei bei monumenti.  Nonostante il terreno paludoso che risucchiò in poco più di un minuto un’ intera ruspa, e colonie di zanzare apache, il grande ingegnere dallo spirto guerriero si gettò a capofitto nell’opera che “sarebbe risultato” ripeteva a gran voce durante il comizio di inizio lavori “il connubio tra avanzamento tecnologico ed arte”.  Dopo le prime difficoltà dovute al terreno paludoso, risolte con un perfetto menefreghismo, in poco meno di due settimane alzando il capo verso la latrina dei pioppi si poteva vedere spuntare tra le cime innevate di polline, lo scheletro in cemento armato del condominio. Il lavoro fu completato in circa tre mesi. Potete immaginare che la velocità con cui furono effettuati i lavori divennero motivo di vanto nei simposi dei dittatori  “Noi Italiani le cose le facciamo bene e veloci”. Ora, l’ingegner Caldara, nell’intraprendere l’opera aveva fatto alcuni piccoli errori di calcolo sopravvalutando l’avanzamento tecnico e scientifico del paese, infatti al varo del palazzo non pochi furono gli interrogativi delle autorità. Tagliò il nastro il famosissimo Podestà del paese;  famosissimo non per le sue doti  amministrative ma perché conosciuto come gran frequentatore di tutti i bordelli della piana delle sette dighe.  Seguirono in ordine, l’ufficiale dell’esercito fascista, Isidoro Rognoni e l’ufficiale ospite, Colonnello  Vonsput su Tuttcos, la baronessa Ermengalda Giulietta Figliaviscontempazziti, il vescovo monsignor  Rocrotti ed  un seguito di lacchè e cariche minori. La prima stranezza che instillò il seme del dubbio tra i presenti, fu un foro circolare nel  soffitto di ogni piano; lo stupore generale non fu dovuto semplicemente a questo bensì ad una lunghissima barra di acciaio che attraversava i fori a partire dal piano terra per finire al settimo piano. Di fronte alla perplessità dei notabili signori, l’ingegnere si giustificò dicendo che in caso di improvvisi bombardamenti  gli inquilini avrebbero abbandonato l’edificio in poco più di dieci minuti, portando in salvo le proprie vite e quelle dei propri cari, scivolando giù per “la perteca” come la chiamava lui. Di fronte a tale afflato altruistico i presenti dissiparono ogni dubbio con un lungo applauso. Altro motivo di plauso ed onore per l’ingegnere fu la costruzione di una imponente cappella dedicata alla madonna del paese, corredata di altare, sedute ed accessori per le funzioni sacre, comprese nel prezzo due arpie intente a dire il rosario, pagate per presenziare ad ogni funzione. Non trascorsero pochi istanti che il seme del dubbio ritornò ad affondare nuovamente le proprie radici nel cuore dei presenti, tutto avvenne nel momento in cui si sarebbero dovuti portare ai piani sovrastanti. Nulla di male se non per la mancanza di scale; dove sarebbero dovute crescere rampe di scale, corrimano in ferro battuto e pedate di travertino, vi era un immenso  spazio vuoto. Seguito dai presenti l’ingegnere si inerpicò sui piani dell’impalcatura esterna, spiegando che presto avrebbero installato, al posto delle obsolete scale, degli ascensori che in meno di tre secondi avrebbero condotto gli inquilini sino al settimo piano. Fu nuovamente ovazione.
Vere e proprie perplessità affiorarono durante il tour degli appartamenti, in cui, con non poca difficoltà, dovettero entrare attraversando la finestra. Nell’impresa monsignor Rocrotti, gran consumatore di Polenta e Osei e acquavite, restò incastrato a metà, tra l’esterno e l’interno. A nulla valsero gli sforzi dei presenti, Il colonnello Vonsput su Tuttcos, grande stratega militare e capo d’eserciti,  incitava dall’esterno a tirare il monsignore che come un bacarozzo sulla schiena agitava braccia e gambe; la baronessa urlava di far presto perché aveva un brutta sensazione, come quel lontano giorno del ventotto giugno millenovecentoquattordici, data del triste attentato di Sarajevo. Il podestà gran uomo di campagna, agli ordini del colonnello,  si rimboccò le maniche e cominciò a premere sulla schiena del prelato che cadde preda di convulsioni originate da un improvviso attacco di solleticudine; in tutto questo  l’ingegner Caldara si appuntò su un taccuino che molto probabilmente avrebbe dovuto modificare le dimensioni delle finestre. Dopo interminabili minuti di tira e spingi si decise per un intervento drastico; venne fatto chiamare il capomastro Bastiano Coteghe, uomo d’azione dotato di sangue freddo e di fede quanto il sughero di una bottiglia di lambrusco. L’uomo si presentò con gli attrezzi del mestiere, scalpello e mazzetta, e si gettò immediatamente nell’impresa di salvataggio. Dopo pochi minuti il prelato cominciò a sentir meno la morsa delle pareti così Bastiano decise di porre fine al tragico evento calciando con lo scarpone da lavoro le sacre terga del monsignore, urlando “ e che questo vi sia da lezione!”. Terminata l’opera di salvataggio e dopo che tutti furono entrati, cominciò il giro panoramico. La Ermengalda Giulietta Figliavisconteimpazziti, rimase a bocca aperta quando si accorse che dove sarebbe dovuto esserci l’uscio, sorgeva una parete intonacata di bianco; l’ingegnere non tardò a spiegare che in quell’avveniristico condominio non c’era bisogno di porte perché gli inquilini sarebbero entrati grazie all’installazione di ascensori che si aprivano direttamente sul piano. Ma quelle non furono le uniche stranezze del novello appartamento, infatti continuando il giro panoramico ci si accorse che dove solitamente sorgeva la cucina c’ era un unico castelletto di mattoni a mo' di forno, il cui comignolo finiva sul soffitto senza alcuna apertura, “avremo” spiegava l’ingegnere “delle ventole che risucchieranno in meno di un secondo tutto il fumo, lasciando però tutto l’aroma delle pietanze preparate.” “Fortunati gli inquilini” disse la Baronessa sotto l’occhio grave del Bastiano che si era unito alla ben assortita compagnia. Un‘ altra sorpresa fu la camera da letto, priva di finestre, al cui centro svettava una grande vasca dell’altezza di cinquanta centimetri per una larghezza di due metri e venti centimetri. L’ingegner Caldara intuendo negli sguardi persi la domanda che i presenti avevano timore di fare, spiegò che quella era "il letto, se così lo vogliamo chiamare." ; Bastiano che aveva caricato le proprie spalle con i secchi di cemento  ed aveva posato pezzo su pezzo i mattoni di ogni singolo muro, ripropose il commento che aveva espresso all’inizio dei lavori “un loculo è più luminoso!”, brevi sorrisi si fecero spazio sui volti dei visitatori, gli unici a non ridere erano l’ingegner Caldara e il Capitano Isidoro Rognoni che continuava a ripetersi “come lo spiego io al Duce?!?”. L’ingegnere ci tenne a precisare che gli inquilini non avrebbero dormito su materassi di piume ma immersi in un acqua speciale di sua ideazione “già esiste?!?” chiese la baronessa seguita dagli occhi affamati dei presenti “no, signora baronessa, sono ancora in fase teorica.”. E così di seguito passarono alla camera da bagno, quella di cui l’ingegnere era più fiero. La camera da bagno era una cloaca di vetri e specchi in cui l’uomo fascista avrebbe potuto ammirare la propria perfezione fisica e cercare nella trasparenza dei cristalli l’elevazione morale. Non vi era altro, non una toletta, un secchio, una cannella da cui attingere acqua, niente, soltanto vetri e specchi.
All’indomani della visita, alle cinque del mattino un corriere militare partì con cinque minuti di ritardo, con un’importante lettera diretta a sua magnificenza il Duce. In ritardo perché il capitano Isidoro era terrorizzato all’idea di dover raccontare il risultato dell’inaugurazione del condominio. Dopo una lunga notte di caffè, macchie di inchiostro, preghiere e pentimenti, di fronte al corriere stringeva tra le mani due buste, una in cui riportava con precisione ciò che aveva veduto con i propri occhi, ed una in cui dava una sommaria spiegazione, tralasciando, in alcuni casi modificando, alcuni piccoli particolari. Non c’è da dire che per ironia della sorte, per errore del destino, imbustò le lettere nelle buste sbagliate, così credendo di inviare la chiara descrizione dell’immobile, nella speranza di lavarsi le mani,  inviò la fantasiosa rivisitazione della giornata. Dopo poco meno di una settimana, il capitano ricevette la temuta risposta e con il terrore negli occhi, apprese la notizia che il Duce in persona si congratulava con la capacità ingegneristica del Caldara e della sua attenta supervisione, non sarebbero passate due settimane che sarebbe giunto nella cittadina per l’inaugurazione ufficiale e la sua benedizione. Il Duce. Di fronte a cotanta risposta, al capitano Isidoro Rognoni, non restò che accettare la propria ignoranza ed incapacità di apprezzare e capire l’ingegneria moderna. Come preannunciato dalla lettera, poco dopo due settimana, si presentò nella cittadina il Duce seguito dal suo manipolo di generali, colonnelli ed invitati della nazione alleata. La visita durò poco e non dobbiamo spiegare lo sgomento degli ospiti di fronte allo scempio di denaro e tempo;  in un solo minuto furono firmate due condanne a morte, una per l’ingegner Caldara ed una per il Capitano che poi furono tramutate, dopo un lungo colloquio con l’ospite alleato, in una condanna a deportazione in Germania per entrambi, mutata nuovamente in condanna a morte ed in fine, per il Capitano, condanna per disonore al Fascio e per l’ingegner Caldara, prigionia a vita in una squadra di bonifica. Dopo aver maledetto se stesso per aver sbagliato ad imbustare le lettere, il capitano Isidoro Rognoni prima che i fucili cantassero l’addio eterno sorrise e pensò “beh, in fondo, mi posso consolare…d’ingengeria un po’ ci capisco”. Alcune settimane dopo le sentenze, dopo lunghi dibattiti sul destino del condominio, chi voleva abbatterlo, chi incendiarlo chi donarlo ai profughi, giunse un nuovo ingegnere che  riprogettò e diede alla stuttura l’aspetto odierno.  Tutt’oggi gironzolando per il cortile o per qualche stanza è possibile scorgere qualche ricordo della prodezza ingegneristica del Cladara, come per esempio i resti di una vasca matrimoniale, oppure la struttura basale degli avveniristici ascensori.
Questa è la storia del condominio Caldara, infestato da sempre da ogni specie di insetto, dalla struttura assai complicata ed incomprensibile in cui facilmente si rischia di rimaner bloccati in una finestra o di riflettersi in uno specchio mentre si fa la cacca. Tutto qui.

Tra due settimane il prossimo capitolo.

Una risposta

Mi chiedo se qualche volte , affinchè una cosa mantenga la sua bellezza, non sia giusto lasciare che vada via, così che possa continuare a risplendere di quella luce così piena e calda.

giovedì 18 agosto 2011

Mi manchi...

Mi machi...
Tutto mi manca di te...mi mancano i tuoi sorrisi prima di addormentarmi...e mi manca trovarti lì, al mio fianco
appena apro gli occhi al mattino...mi mancano le lunghe ore passate ad accarezzarti sotti il sole, in un prato durante un colazione...e mi manca sentire quel dolce solletico sui polpastrelli ogni qual volta si posano sulla tua pelle liscia e preziosa come diamante. Mi mancano i viaggi che abbiamo fatto assieme, le lunghe scorrazzate
per strade sconosciute e le albe ed i tramonti dinanzi a cui ti ho stretto, sempre più forte, affinché fossi soltanto mia...perché non fuggissi...e mi mancano le tue parole, le storie che mi raccontavi, alcune vere, alre inventate...ma che importa...ciò che importava era il tempo che era solo per noi...e solo ora che sei lontana, che sono le mani di mille altri a sfiorarti la pelle, percepisco il cuore frantumarsi in mille ricordi...ed una lacrima scivola consapevole che non sarai tu a raccagliorla tra le tue pagine...allora, non posso far altro che ripetermi quanto sia stato stupido a lasciarti lì, su quella spiaggia, sola, mentre il vento ti accarezzava e sfogliava lentamente pagine e pagine di ricordi...e non può che bruciare nel cuore il desiderio di sapere come sarebbe andata finire quella storia... è stupido capire quanto tu sia importante per me ora che non ci sei più, ora che dormire non è che un vago ricordo e che interminabili pianti mi colgono in fallo tra le mura del bagno...mi manchi, mi manchi e non  so più cosa fare...ritorna da me, perché la vita ha perso ogni senso ora che non ci sei più...mi manchi, mi manchi...Tv Sorrisi e Canzoni...






giovedì 11 agosto 2011

Le parole...che strane...

Vi siete mai chiesti dove finiscono le parole quando ne avete più bisogno?!?
Quelle piccole e docili parole che al momento giusto vi farebbero tanto comodo?!? Eh?!? Dove finiscono?!? Magari, proprio in quel momento, quello che attendete da sempre, in cui finalmente potete far valere il vostro diritto di replica; proprio quel giorno in cui dovete prendervi le ragioni che vi spettano. Attendete che la parola passi a voi e nel momento stesso in cui schiudete le labbra per dar voce ai vostri pensieri…Puff…niente più parole. Dove sono?!? Certo è che sono fuggite dalla testa che ormai non è altro che un cesto vuoto in bilico sul tavolo. Dove si nascondono?!? Nei piedi?!? Nelle mani?!? Già le vedo solleticare tendini e muscoli mentr fuggono lontano; oppure abbandonano il corpo, lasciano pelle, ossa, legamenti per crogiolarsi nelle acque tiepide del vostro caffè, massaggiate dal lento rimestare del cucchiaino. Un vostro fugace attimo di follia, disperazione forse, le vede addirittura sommarsi alle parole del vostro interlocutore, hanno un ghigno malvagio di chi vuol farvela pagare per tutti gli “a me mi” le errate coniugazioni e tutti gli errori grammaticali che avete sfoggiato per una vita intera. Ma no, sono lontane, sono forse ritornate alle pagine di giornale, ai manifesti pubblicitari o alla voce dello speaker del radiogiornale delle otto. Non si sa dove siano andate a finire, qualcuno giura di esser rimasto senza parole per una settimana, perché erano fuggite in villeggiatura sulla costiera Amalfitana. Altri hanno giurato di avrle riconosciute tra le vetrine di via del Corso a Roma con cappelli panama e mocassini di camoscio. Resta il fatto che voi, in quello che potrebbe essere il giorno più importante della vostra vita, siete privi di parole. Eppure basterebbe poco,  un "No! Io non la apenso così!" oppure " non è solo come dici tu" o cos'altro?!? Insomma basterebbero poche lettere per comporre un parole sufficiente a non provare quel senso di costante insoddisfazione; basterebbe anche il desiderio di una parola, un "sigh" o un'espressione diversa dalla solita faccia da decelebrato. Eppure non ci sono, sparite e a voi non resta che abbozzare e sperare che non siano in villeggiatura alle Maldive. E dopo qualche minuto, quando tutto è finito, la vostra grande occasione sfumata, eccole lì, le parole; prima un pensiero confuso e poi nuovamente al loro posto, tra le labbra, nella mente, nel cuore, in ogni parte del corpo, come dalla penna di uno scrittore immaginario vi sentite lentamente riempire come un foglio bianco, e riconoscete, in una piccola appendice, quel magnifico discorso che avrebbe messo a tacere tutti. Se non fossero parole direi che ci guardano con lo sguardo di chi la sa lunga, di chi ha deciso di fuggire per scongiurare un pericolo, perché spesso ciò che diciamo può compromettere rapporti, intaccare sentimenti e sciogliere in lacrime gli animi più solidi. Ma in fondo sono semplici parole che vanno e vengono a ritmo delle stagioni del nostro cuore, che si scontrano tra loro sull’inicpit di una indecisione, e si sciolgono in vento e lacrime sul ricordo di un amore. Si stiracchiano e ritornano al loro posto.

mercoledì 10 agosto 2011

Quella casa la'

Ecco a voi, come promesso, il nuovo capitolo...buona lettura

<<Quella casa la'>>


Quella casa la’, come l’aveva definita la signora Scricchione, la casa dove sarebbe andato ad abitare Pau, come già sappiamo in poco più di un mese, era un vecchio garage che sorgeva all’interno del cortiletto del condominio Mirafiori di Paschingliacchi, città del basso Posedere, a pochi chilometre da Pordenone e ad un tiro di schioppo da Cosenza. Dopo aver raggiunto l’età di pensione, il vecchio garagista, Tal Mario Sorpincio decise di mettere in vendita il vecchio garage e con i ricavati se ne sarebbe andato ad invecchiare su una spiaggia di unì’isola Caraibica con quattro Morette con tette a balconcino <<in cui affogare>> diceva ridendo, pregustando già la pensione. Incaricato di vendere il garage fu il geometra Eugenio Crolla, inquilino del terzo piano, noto puttaniere, giocatore d’azzardo, si dice che avesse perso in una serata tre appartamenti di suoi clienti a morra cinese con il figlio di tre anni della Pina Marangoni, sua dirimpettaia. Il Crolla ci mise un po’ di tempo a decidere le modalità di vendita  <<dobbiamo prima pensare all’attacco>> diceva al vecchio Sorpincio che cominciava a mostrare i primi segni di stanchezza. <<no, forse è meglio in difesa o forse, centrocampo e non se ne parla. Anzi sarebbe meglio la buon vecchia catenaccio...>>.
E così passarono gli anni, il geometra Crolla non si decideva ed il vecchio Sorpincio cominciò prima a non andare oltre il giornalaio, poi a non uscire dal portone ed infine segregato in casa. Nessuno si preoccupò di non vederlo più in giro, qualche voce diceva che usciva solo di notte o altri giuravano di averlo visto all’aeroporto prima di imbarcarsi per le Maldive. Il vecchio Sorpincio fu scoperto solo due anni dopo morto in casa con la cornetta del telefono appiccicata all’orecchio con una signorina della hot line che continuava a ripetere <<aspetta ancora un attimo>>. Così il povero Sorpincio non potè godersi la sua vecchiaia in riva alle acque cristalline di un atollo Caraibico. La signora Scricchione non perse occasione per dire che il temporeggiare del geometra Crolla non fu altro che una manovra per prender tempo, perché il vecchio garage lo aveva perso ad una partita di filetto con il nipote del cugino acquisito del giornalaio, di otto anni.
Nessuno ebbe mai certezza di questa voce, fatto sta che per un lungo periodo nel garage ci fu un gran via vai di nani che si sollazzavano con film della walt disney e granite alla menta. Dopo qualche anno il garage fu nuovamente messo in vendita per conto di un forestiero, un certo nano da giardino di Nome Brantoldo, anche se le voci più autorevoli del palazzo insistevano per dire che si trattava del nipote del cugino acquisito del giornalaio, presentatosi con questo nome per non destare sospetti. In ordine i proprietari del garage furono i seguenti: una maestrina d’asilo che di notte si trasformava in un’assatanata sessuomane, le cui urla tenevan sveglio tutto il condominio, in particolare con <<disegnami la Aaaa...>>, nella sua permanenza nel garage fece aprire una finestrella che dava sul cortile così da poter avere un po’ di luce, diceva lei ma qualcuno sospettava che quel lavoro fosse dovuto ad un suo incessante bisogno di farsi sentire nelle proprie acrobazie notturne. Poi fu la volta di un gruppo Punk, che per la metà del tempo non faceva che ruttare, scarabbocchiare sui muri scritte del tipo <<Fuck! Shit!>> e cose del genere, perennemente fatti di crack, colla e fumo Libanese. Non durarono molto, solo il tempo di mettere a ferro e fuoco il garage. Nella loro breve ma intensa permanenza, apportarono una nuova modifica alla facciata della struttura, a suon di peti Punk, aprirono una voragine nel muro in cui sarebbe potuta passare un’automobile, che fu lasciata così perché il gruppo sosteneva a rutti e scuregge <<è troppo Punk!>>. Il terzo avventore fu un ragionere, tal Amaso Machiè, ricercato serial Killer del basso Modenese. La prima cosa che fece appena arrivò nel garage fu chiudere la voragine e serrare bene tutte le finestre. Il ragionere non diede mai fastidio a nessun, non fu mai oggetto di scandali così importanti da dover andare sulla prima pagina di “è tanto una cara persona, certo però...”. Solo qualche mese dopo, il ragioniere diede tanto da pensare agli inquilini del condominio, quando una task force di ottocento agenti tra esercito, carabinieri, polizia, sommergibilisti della marina, frecce azzurre e chi più ne ha più ne metta, armati fino ai denti, venne a prendere l’uomo incriminato per aver sterminato un intero paese solo perché il padrone del bar centrale aveva sbagliato a fare la dichiarazione dei redditi. Poi fu il turno della ragazza equosolidale, Tal Viviana Sereni. La Viviana Sereni abitò per circa un mese nel condominio e non potè portare a termine la ristrutturazione che aveva in mente, qualcuno giurò di averla vista parlare con un condomine dicendo << voglio tanta luce, proprio tanta che inondi la casa come un’onda perpetua...>> poco dopo prese una mazza da carpentiere e cominciò a buttar giù la parete che dava sul cortile interno, sotto lo sguardo indispettito delle donne del palazzo. Eh si, indispettito; anzi, direi incazzato, si perché il motivo per cui la Sereni occupò per così poco tempo il garage fu che era talmente equosolidale da darla a tutti gli uomini accoppiati del condominio; sempre in modo equo, non ci furono sconti o differenze tra gli uomini, però le donne non apprezzarono questa sua precisione e così un pomeriggio, di ritorno da una raccolta di alghe di fiume, la Sereni trovò tutte le sue cose fuori dal portone del condominio con una lettere sottoscritta da tutte le donne del palazzo <<se ritorni, ti raccoglieranno come un’alga i tuoi amici fricchetonici...frecchetti...fracchetti...come si scrive...vabbè, hai capito!>> Finalmente arrivò un po’ di pace per il povero garage, con un pittore, tal Saverio Riccio che si faceva chiamare Eldorado; pace per modo di dire. La prima cosa che fece Eldorado fu sistemare il crepaccio lasciato dalla Sereni, fu allargato e chiuso con una grande vetrata da cui si poteva vedere tutto l’interno della casa. Ora Eldorado aveva delle peculiarità che lo distinguevano, prima di tutto dipingeva fiche, avete capito bene, di ogni forma e grandezza, pelose o rasate, accoppiate a culi, a cosce a bocche a piselli e tutto ciò che potete immaginare lui lo metteva; poi, lavorava esclusivamente di notte, il cielo stellato che si poteva vedere dalla vetrata lo ispirava, niente da ridire se non per la costante fumata bianca al sapore di rosmarino che fuoriusciva lattiginosa dalle finestre e appestava il cortile, cosa che poteva esser sorvolata dato che non si vedevano più zanzare nel giro di due chilometri; la cosa che più rendeva difficile la convivenza con il nuovo inquilino era la sua abitudine di girare completamente nudo in casa, nulla di male se non vi fosse stata quella vetrata su cui affacciavano i balconi di tutti gli appartamenti. Il primo episodio avvenne un mercoledì di maggio, la signora Ciciliana Pastura, del settimo piano, nota cardiopatica, usciva come di consueto per dare acqua ai geranei, fu in quel preciso istante che Eldorado uscendo dalla doccia passò in tenuta “come mamma l’ha fatto” davanti la vetrata, la Pastura non ebbe il tempo di proferir parola che cadde come uno stoccafisso sul balcone. Quando la signora Pina Patrioti, dirimpettaia la andò a trovare per la consueta partita di ramino, la trovò lì che respirava a malapena con gli occhi sgranati e le braccia verso il cielo larghe quanto la misura delle nudità di Eldorado. Fu ricoverata d’urgenza e per un mese dovettero tenerla in isolamento nel manicomio di Trespoli, uscendo solo per le seduta con lo psicologo, rigorosamente donna perché continuava a ripetere <<lo voglio, lo voglio, lo voglio!!!!>>. Così si rivolsero all’amministratore tutti i condomini, gli uomini feriti nell’intimo si paravano dietro le mogli asserendo << è una vergogna, un uomo non può lasciare in libertà i propri animali...io, per esempio, non lo faccio>> e nascondevano il viso dietro un giornale, le donne sudate e in preda a forti tremori, per via di quell’estate così calda, dicevano che era una vergogna perché potevano voderlo i bambini, ed intanto qualcuna piangeva in preda al calore più feroce. Fu così che Eldorato fece montare grosse tende scure che teneva chiuse tutto il giorno per aprirle solo la notte, tanto che in quell’estate famosa ci fu un’impennata delle bollette della luce in tutti gli appartamenti del condominio. Non potendo trovare altra soluzione, i condomini dovettero accettare le stranezze del nuovo vicino.
Gli anni trascorsero, misteriosamente i prezzi nella zona del condominio Caldara ebbero una clamorosa impennata da mettere in crisi il mercato immobiliare, voci dicevano che fosse dovuto ad un’improvvisa estinzione di zanzare e parassiti che da anni appestavano i lotti. La vita scorreva tranquilla, tra i soliti tradimenti, riunioni di condominio e pettegolezzi, quando un mattino di primavera, per la gioia di tutti gli uomini del condominio, giunse la notizia che Eldorado, l’artistoide da strapazzo, era deceduto. Si sa, in un condominio di sette piani le voci corrono veloci, fu la signora Scricchione a scoprire il corpo; era uscita, come di consueto, di buon mattino per annaffiare i gerani nel cortiletto, quando si accorse che il portone del garage era aperto, da brava condomina e vicina di casa, si preoccupò, naturalmente poteva esserci il rischio che entrassero in casa Cani, gatti, topi, lucertole, animali, come tutti sappiamo, dal carattere aggressivo. Per questo, nella speranza di scongiurare una disgrazia, corse al portone e se, poi, entrò nell’appartamento fu solo un caso, un imporvviso sgrullone la colse e non potendo rischiare di infradiciare la vestaglia nuova, la costrinse a cercare riparo tra quelle mura. Ciò che si aprì agli occhi vispi della signora Scricchione, fu l’Eldorado del pettegolezzo, il luogo leggendario di cui ogni esperta del taglio e cucito è alla ricerca da millenni. Nell’appartamento erano conservati preziose storie che avrebbero fatto parlare per anni la Scricchione ed il suo manipolo di pettegole. Arazzi di fiche e cazzi intenti a prender la tintarella su spiagge desete, portacenere a forma di sederi, calici a forma di vulve,  bottiglie falliche di cristallo e cataste di fotografia di uomini e donne nude. La Scricchione si inginocchiò di fronte a cotanta grazia e con le lacrime agli occhi ringraziò il signore per averle donato quell’opportunità. In fondo dopo lo scandalo del professor Coriandolo, del secondo piano, da anni non aveva a disposizioni storie di grande rilievo. Ma la felicità fu destinata a durar poco, da uno stanzino sentì provenire lo scrosciare di una doccia; altri avrebbero girato i tacchi e abbandonato la casa, ma si sa, la curiosità è donna e se la donna in questione è Tiziana Scricchione, non c’è periglio che le faccia cambiar idea. La storia della signora Pastura e delle dimensioni artistiche di Eldorado, erano ormai leggenda nel condominio e aver perso l’occasione di metterne le voci in giro le bruciava più di una gastrite. Così si decise <<la notizia non sarà mia ma almeno potrò dire di averne le prove!>>. Si alzò, si tirò su le maniche e si apprestò a varcare la soglia di quello che doveva essere il bagno. La scricchione aveva già pronte svarie versioni da dare all’inquilino sorpreso sotto la doccia <<la porta era aperta, ho temuto che si fosse sentito male>>, <<volevo chiederle dello zucchero, poi ho sentito la doccia ed ho pensato che avesse dimenticato di chiuderla>> e via così, tutto farcito con il viso d’angelo di mamma premurosa. L’uscio del bagno si schiuse, la donna fu avvolta da un fitto strato di nebbia, con cautela avanzò cercando con le mani le pareti bianche, un ginocchio colpì un tavolino, da un posacenere sederopide si levava il fumo di una strana sigaretta, la prese tra le dita e la portò alle narici, un forte odore di arrosto le investì i sensi <<questi artisti, tutti arte e natura>> pensò tra sè posando il mozzicone dove lo aveva trovato. Avanzò ancora e finalmente giunse alla doccia. La scricchione ebbe un sussulto, vide immerso nell’acqua Eldorado, nudo. I suoi occhi salirono lentamente dai piedi sino a << O mio Dio!!!>> era davvero come lo descriveva la Pastura. La Scricchione a quella visione ebbe un calo di pressione e dovette appoggiarsi a qualcosa che le era vicino ma subito dopo si sentì un rumore di vetri in frantumi, un colpo sordo nel petto la risvegliò e fece per andar via nella speranza di non esser vista dall’uomo; fece pochi passi verso l’uscita ma ciò che si aspettava di sentire << chi è?!? Ti ho visto!!>> insomma, le solite grida di una persona che scopre un intruso nel proprio bagno, non ci furono. La Scricchione con timore tornò sui propri passi e con orrore, tra le nebbie acide di bagnoschiuma all’arancia, scoprì il cadavere di Eldorado.
Quando la polizia la interrogò, spiegò che si era intrufolata in casa perché la porta aperta l’aveva insospettita. Di quel breve colloquio con il giovane agente, la donna portò con se nei suoi ricordi fino alla morte, due cose, le parole del coroner <<rigor mortis...tutto duro>> e un suo breve pensiero <<decisamente, tutto duro!!>>


Non disperate tra due settimane seguirà il prossimo capitolo "IL CONDOMINIO CALDARA"



martedì 9 agosto 2011

Vita di univeritari...vivere con 5 €...


Sono nel minuscolo cucinino di mio cugino, piano cottura, lavello, frigorifero, lavatrice ed un'accozzaglia di utensili, necessari alla preparazione di piatti sciapi e poco cotti, disposti malamente in uno spazio di 3 m2, ed è qui che un’improvvisa scarica elettrica mi attraversa, brucia, sono spossato, la vista è annebbiata ma paradossalmente non ho mai visto più chiaro di questo momento, sorseggio lentamente la mia birra annacquata e penso:nessuno sa far quadrare i conti come uno studente universitario...
Con 5 euro si riesce a comprare: due pacchi di pasta,una gassosa,un pacco di pan carre e due pacchetti di biscotti cioccolattosi(di dubbia origine),per le serate sul letto,quando nel piccolo schermo la cosa più interessante sono le previsioni del tempo, unica consolazione il libro di Dan Brown che spunta impolverato da sotto il letto con la pretesa di esser letto almeno sino alla decima pagina: per un totale di euro 4,97.
Eccomi qui, vedo mio cugino, sembra un carboncino sbiadito dai lievi tratti egiziani,  si contorce tra le pentole nel disperato tentativo di ripassare in padella un po’ di cicoria, e qui sorge spontanea la domanda come sia possibile con 10000 delle vecchie e amate lire, avrebbe detto nonna Giacinta, mentre pulisce i fagiolini davanti i pacchi, comprare beni che possono durare, tirandola per le lunghe, sino alla cena dello stesso giorno.Ma come possiamo vivere in tranquilla serenità se dobbiamo scapicollarci e a volte scegliere se digiunare a pranzo o a cena per far durare un po’ di più quei soldi che mamma e papà ci mandano a fine mese;fortunatamente vive ancora,tra studenti, la vecchia cara solidarietà,ci si sostiene a vicenda,si organizzano cene con beni alimentari di primaria importanza,i famosi avanzi ricucinati e presentati con forma e sapore diverso: ecco a voi, pollo alla provenzale…petto di pollo avanzato da ieri, tritato ed amalgamato con formaggio;perché provenzale?perché l’etichetta della confezione dice “il formaggio della provincia” , e per concludere queste allegre serate ,chitarre,bonghetti,voci e un pò di sano fumo nero,tutto per dimenticare la giornata stressante appena passata e pronti poi a ricominciare.
Qualcuno sente il bisogno di non pesare più sui genitori,acquistare finalmente quell’indipendenza aspirata sin dal primo giorno del trasloco,anche perché, si deposita sul fondo dello stomaco un senso di vergogna ogni qual volta sentiamo i nostri pronunciare"hai bisogno di soldi..."allora li a cercare un'occupazione e si è disposti a tutto,lavori scadenti e sotto pagati  a volte più di uno pur di non sentirsi un peso.Si è sottoposti a tensioni altissime,la stanchezza si accumula,i libri sembrano sempre più distanti,i lavori diventano sempre più pesanti sino a che,nella metro,lo sguardo assente,le persone mantengono la distanza,le sembianze di un tossico,il filo cede e si sviene sul pavimento polveroso, la signora sul terzo sedile urla “è in crisi d’astinenza”.Uno vorrebbe replicare, ma non ne è capace il peso d’una responsabilità poco chiara schiaccia quel breve desiderio di riemergere.
Svanisce dalla mente il perché si era partiti,i sogni fanno spazio alla crosta dura della realtà,ci si sente così inutili, il bivio della scelta è vicino, ritornare a casa e rinchiudersi nel negozio di materassi di zia Carlo, oppure ingoiare ed andare avanti, tenere duro e rialzarsi, consci del fatto che la vita da universitario non è un percorso senza ostacoli e che l’unica soluzione a questo stato perenne sarebbe avere un po’ di soldi…e che cazzo!!!

Note:
Questo è stato scritto qualche anno fa...credo che le cose non siano cambiate...

Da "Poesie a scoppio"

10)


Il migliore degli uomini è lui, non fuma,
beve il giusto, è premuroso con la sua donna,
gentile, sorridente; tutto l’opposto di me.
Il migliore degli uomini è lui;
solo quando è a letto non ha nessun pregio
più degli altri, è fragile ed insicuro
come tutti, e quando l’orgasmo è vicino,
stringe gli occhi per trattenere
una lacrima, chi non lo fa del resto.
Il migliore degli uomini è lui…io, il peggio di
Ciò che resta.